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Via Monte Ingino, 5 – Gubbio – Italia

Sant'Ubaldo

Gonfalone Sant'Ubaldo Gubbio

Ubaldo nacque intorno al 1085, da Giuliana e Rovaldo Baldassini, esponente di una famiglia eugubina benestante e presumibilmente nobile. Rimasto presto orfano, lo zio se ne prese cura e progettò per lui nozze adeguate al suo rango, ma Ubaldo scelse la vita “canonicale” che proprio in quegli anni faticosamente prendeva vigore: erano sacerdoti che, in Italia, in Francia, in Germania, per assolvere meglio i loro doveri, sceglievano di condurre vita comune in forme religiosamente intense e piene d’attenzione per i più poveri.
Ordinato sacerdote intorno al 1115, nominato nel 1119 priore della canonica di San Mariano, che in quegli anni moralmente vacillava, ne divenne riformatore coraggioso.

Rifiutò nel 1126 la nomina a Vescovo di Perugia. Nel 1129, a capo di una piccola delegazione di uomini di chiesa, si recò a Roma per chiedere ad Onorio II, Canonico Regolare anche lui, un intervento autorevole a Gubbio perché, morto il vescovo Stefano, da mesi gli organi ecclesiali e civili preposti alla designazione del suo successore non riuscivano ad individuare l’ecclesiastico che poi il Papa avrebbe eletto. Onorio II scelse proprio lui, Ubaldo; non prese in considerazioni i motivi che egli adduceva per tirarsi ancora una volta da parte; volle personalmente ordinarlo. Da allora Ubaldo prese a reggere la Chiesa Eugubina felicemente attraverso i secoli.
Tra le mille difficoltà che gli procurò soprattutto la sua mitezza, un fiore evangelico che quella società rozza e faticosamente in crescita verso i futuri livelli di gran civiltà interpretava come debolezza, il nuovo Vescovo gradualmente diventò il punto di riferimento per tutta la comunità eugubina. Mite e decisa, generosa ed equilibrata, nel contesto di un grandioso movimento teso in tutta Europa a riportare la Chiesa alla forma di vita apostolica (“apostolica vivendi forma”) che ne aveva caratterizzato le origini, la sua azione pastorale mirò innanzi tutto al quotidiano, affettuoso incontro con la gente. Si propose anche, magari esponendo il vescovo a duri pericoli personali, di abbassare le tensioni sociali latenti, ma pronte ad esplodere violentissime, tra il conservatorismo ottuso dei vecchi feudatari della campagna circostante e lo scalpitare impaziente dei nuovi ceti cittadini emergenti; ed in quest’opera egli testimoniò davanti a tutti il primato morale, civile e politico del perdono.
Quando un disastroso incendio distrusse Gubbio, i cui edifici erano quasi tutti in legno, fu lui che ne promosse la ricostruzione, e nacque la “città di pietra”; quando una potente coalizione sembrò doverne segnare la fine, fu lui che prese in mano le redini della vita civica, non rifuggendo dal dire la sua anche sul piano di possibili stratagemmi guerreschi tatticamente produttivi.
E divenne colui che a Gubbio nessuno osò più mettere in discussione.

Federico Barbarossa e Sant'Ubaldo Gubbio
Quando, nell’estate 1155, Federico Barbarossa piantò il campo in vista della città, deciso a distruggere Gubbio come poche settimane prima aveva fatto con Spoleto, Ubaldo forte solo della sua evangelica povertà e della capacità di far trasparire in ogni sua azione il Vangelo, si recò solo ed inerme nella sua tenda, e Gubbio divenne quello che era destinata ad essere: questo accadde quando la tenda imperiale che aveva ospitato l’incontro senza testimoni tra il fulvo leone di Svevia e il mite Nostro tornò ad aprirsi, e i varones di Federico, sbigottiti, lo videro chiedere la benedizione a Ubaldo, “a testa bassa ”.
Poi un malattia lunga e dolorosissima lo costrinse a letto per cinque anni, senza che per questo egli venisse meno ad uno solo degli obblighi del suo ministero episcopale.
Il 16 maggio 1160, lunedì di Pentecoste, Ubaldo lasciò la vita terrena, tra il pianto inconsolabile della sua gente. La sua salma fu esposta in Cattedrale; accorse una folla strabocchevole, al punto che per quattro giorni non fu possibile avvicinarsi al feretro per dare inizio al rito funebre. Venivano da tutte le contrade che gravitavano su Gubbio, e anche da fuori, con la speranza di vedere, di toccare, di venerare quel sacro corpo che rimaneva di eccezionale candore e luminosità, al punto che in Lui si intravedeva in anticipo, in qualche modo, il trionfo della futura risurrezione.

Quando infine la salma di Ubaldo, al quinto giorno, fu sollevata in alto, per essere deposta in un sarcofago accanto alla tomba dei Santi Martiri Mariano e Giacomo, si levò dalla gente come un unico, violento, appassionato singhiozzo, destinato a trasformarsi in canto che avrebbe attraversato i secoli e sarebbe giunto sino a noi. Per un anno intero si protrassero le manifestazioni di straordinaria devozione; molti Eugubini fecero pace con chi avevano violentemente odiato. Si verificò un’insolita generosità verso i poveri; ininterrotti i pellegrinaggi della gente che portava dei “ceri”, accesi di giorno e di notte; e giorno e notte sul cielo di Gubbio un’unica invocazione sembrava aleggiare, e unire tutti gli Eugubini: Sant’Ubaldo, proteggi questa città, difendi la tua chiesa!.
Tutta la popolazione lo venerava già come santo; fu Papa Celestino II che, con apposita bolla, data dal Laterano il 5 marzo 1192, lo canonizzò annoverandolo ufficialmente tra i campioni esemplari della fede cattolica e chiedendo agli Eugubini di festeggiarlo come già avevano cominciato a fare: hilater, “con gioia”.

Festa dei ceri Sant'Ubaldo Gubbio

La traslazione al monte Ingino

Traslazione Basilica sant'Ubaldo Gubbio

L’11 settembre 1194 il corpo di S. Ubaldo fu trasferito sul Monte Ingino. Fu il Vescovo Bentivoglio ad assumere questa decisione, poiché occorreva una chiesa più grande.
Diversi quartieri si candidarono ad accogliere nella propria area questa chiesa; non si intravedeva possibilità di accordo; ragioni di sicurezza consigliavano di collocare le amatissime spoglie all’ombra delle due sicure rocche del Monte Ingino. Quando la decisione del vescovo si seppe in giro, fu festa per tutti. La leggenda che, come sempre, abbellisce giornate del genere, racconta che in sogno S. Ubaldo chiese al suo successore di indire un digiuno cittadino di tre giorni e, subito dopo, porre il suo corpo su di un carro trainato da giovenchi indomiti, lasciandoli liberi di andare: il luogo dove si sarebbe fermato il carro era quello prescelto dalla Provvidenza. Così fu fatto. I giovenchi imboccarono la via che portava al monte e si fermarono presso la piccola chiesa di San Gervasio, poco distante dalle rocche. I due rami utilizzati per stimolare i giovenchi, piantati in terra, germogliarono originando due splendidi olmi.

Su quella decisione pesò anche il fatto che sulla cima dell’Ingino c’era una volta un bosco sacro al culto di Giove, frequentato dagli antichi Ikuvini. Come sempre, si volle acquisire alla devozione cristiana, in maniera più decisiva di quanto non si fosse fatto già in passato con le diverse chiese dislocate sulla costa dell’Ingino, la stazione terminale dell’antico rito pagano6, santificandola con la presenza del corpo del Santo Patrono in onore del quale ormai si portavano i “ceri”?
Se così fosse, la devozione al nostro Santo darebbe unità anche a questo fondamentale aspetto della vita di un popolo.
Certo è che occorse un rescritto firmato di sua mano da Enrico VI, il figlio di Federico Barbarossa e di Costanza d’Altavilla, per autorizzare una nuova costruzione in una posizione strategicamente tanto importante.
Certo è che da allora l’Ingino, o “monte di San Gervasio”, diventò il “Colle eletto dal Beato Ubaldo”, come lo chiamerà Dante nell’XI canto del suo Paradiso: il monte scelto da S. Ubaldo perché gli Eugubini di tutte le generazioni, per ogni vicenda lieta o triste della loro vita, potessero rivolgere lassù lo sguardo, fiduciosi.

15 maggio processione di Sant'Ubaldo Gubbio